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mercoledì 19 maggio 2010

Per chi sa l'inglese ,vi segnalo questa canzone .


MY RUIN, "Made To Measure"
I was born like this with hips like this
Lips like this and wrists like this
legs like this and arms like this
a fist like this to hit you with, now
you're like school on Sunday
You ain't got no class
You keep running your mouth but...
You can kiss my ass!
Not made to measure baby
One size does not fit all
I will not be the one
You make to take the fall
[repeat]
I got the curves to fear, the words to feel
When I scream I've heard them say
I've got the voice to heal
You don't need to be sorry
you don't need to be saved
You just need to be proud of the body that God gave
Not made to measure baby
One size does not fit all
I will not be the one
You make to take the fall
[repeat]
listen to me say...yeah
I'm so fat I'm fucked up
I'm so skinny I'm sick
I'm tired of the magazines
Talking that bullshit!
I'm not fat, you're fucked up
I'm not skinny, you're sick
I'm just tired of the critics who keep talking that bullshit
Yeah!
I was born like this with eyes like this
Teeth like this and thighs like this
A face like this, a waist like this
and when I die...I'll die like this...now
You're like school on Sunday
You ain't got no class
You keep running your mouth but
I just might kick some ass!
Not made to measure baby
One size does not fit all
I will not be the one
You make to take the fall
[repeat]
Let me hear you say YEAH!
You're so fat you're fucked up
You're so skinny you're sick
You're so tired of the magazines
Talking that bullshit!
You're not fat or fucked up
You're not skinny or sick
You're just tired of the critics who keep talking that bullshit
NOW WHAT?-NOW WHAT?-NOW WHAT? What you gonna say next time you SEE US?
NOW WHAT?-NOW WHAT?-NOW WHAT? What you gonna say next time you SEE ME?

Vi segnalo questo interessante articolo:L'ossessione della cyberforma


L'ossessione della cyberforma
di Mara Accentura
Donne manipolate, digitalizzate, alienate. La psicanalista Susie Orbach analizza l'istancabile e pericolosa ricerca della perfezione


Stiamo vivendo un'emergenza sanitaria. Riguarda il nostro corpo, che nessuno ama così com'è e dove concentriamo ansia, odio, isteria, per non averlo troppo magro, troppo sexy, troppo giovane. Ma quanti di noi ne sono davvero consapevoli? Susie Orbach è la psicoterapeuta inglese che nel 1978 scrisse Fifi, come viene affettuosamente chiamato, Fat is a Feminist Issue in cui sosteneva che le diete distorcono la nostra relazione col cibo e alla lunga contribuiscono a farci ingrassare. Negli anni Novanta diventò famosissima per avere in cura - proprio per un disordine alimentare - la principessa Diana. Oggi torna a riflettere sul tema del corpo con un libro di denuncia Bodies, Profile Books. Molte cose sono cambiate da allora e se vogliamo peggiorate. Oggi il nostro rapporto col corpo è più alienato che mai e se le statistiche in crescita di interventi di chirurgia estetica, sebbene rallentate dalla crisi, esaltano la feticizzazione della giovinezza, quelle di di obesità e anoressia mettono in luce la patologizzazione dell'appetito. «Mangiare è diventato un problema per tantissime persone», dice Orbach, intervistata in esclusiva per D. «Il cibo è visto non con piacere ma con sospetto. E questo inizia precocemente. Molte ragazzine crescono con l'idea che stare a dieta è normale. Ma più stanno a dieta più sviluppano l'abitudine al bingeing». In pratica passano dal controllare minuziosamente il numero di calorie giornaliero allo strafogamento. «Pochi si rendono conto che l'industria dietetica si regge su una percentuale di recidività del 95 per cento. Altrimenti si starebbe a dieta una volta sola nella vita», continua Orbach che una volta ha persino tentato di portare in tribunale la WeightWatchers.

In pratica continuamo a comprare prodotti che hanno una percentuale altissima di fallimento. Non demordiamo. Nemmeno quando si tratta di modificare il corpo con la chirurgia, che è diventato una sorta di diritto costituzionale pari alla salute (in Argentina, tanto per dirne una, rientra nelle polizze assicurative). Se qualcuno mette in dubbio i picchi di follia della manipolazione rispondiamo: non è repressione ma simbolo di empowerment. Pochi di noi hanno l'impressione di essere vittime manovrate dall'industria dei media e della bellezza, lo consideriamo un insulto all'intelligenza. Ma - Michael Jackson riposi in pace - è davvero così? «Il risultato è che percepiamo il corpo come un campo di battaglia, un'entità instabile», spiega Orbach, «non più qualcosa che si sviluppa naturalmente a seconda del proprio Dna ma una costruzione culturale, un progetto su cui perseverare tutta la vita». E se non in questa almeno su Second Life, dove possiamo cambiare cyberidentità smanettando come artisti su una tastiera.

L'aspetto più inquietante però è che alla democratizzazione degli interventi sul corpo è corrisposto un impoverimento dei modelli. In altre parole miriamo tutti a delle immagini stereotipate, omogeneizzate che cancellano le differenze etniche, anagrafiche, di provenienza sociale.

Donne androgine, uomini metrosexual. La varietà dei visi e dei corpi è stigmatizzata. «Sophia Loren significava italiana», dice Orbach. «Lo capivamo tutti. Oggi le misurerebbero il BMI, l'indice di massa corporea, e le prescriverebbero una dieta per l'obesità». O magari una scorta di Alli, l'ultima pillola per dimagrire, che va a ruba nelle farmacie inglesi pur avendo imbarazzanti - improvvise diarree - effetti collaterali. Così le donne iraniane si rifanno il naso (solo nella città di Teheran ci sono 3000 chirurghi plastici, molti dei quali lavorano al ritmo di 5 rinoplastiche al giorno), le cinesi le palpebre, le occidentali gli zigomi, le labbra e quant'altro. «Per effetto della globalizzazione ragazzi delle isole Fiji, Nigeria, Korea desiderano gli stessi fisici, magri, emaciati, che non c'entrano nulla con quello originale. L'odio verso il proprio corpo è uno dei prodotti occidentali esportati con più successo nei Paesi in via di sviluppo». Nessun appello come quello della direttrice di Vogue UK Alexandra Shulman agli stilisti per taglie più comode (“i vostri abiti sono minuscoli. Siamo costrette a usare modelle troppo magre e poi a ritoccarle digitalmente per farle sembrare più grasse”, ha denunciato sul Times), nessuna cover di Beth Ditto, la cantante oversize ritratta da in modo superglamorous dal fashion magazine Love, sembra poter arrestare l'ondata. «Certo, Ditto contribuisce ad allargare la nostra percezione del bello ma non lo considero un vero balzo in avanti», dice Orbach.

Vestita e stilizzata, Ditto sembra persino voluttuosamente sexy, l'ultimo oggetto del desiderio maschile e femminile. Ma quante ore di Photoshop ci sono volute per rendere quelle immagini assolutamente impeccabili? E quanti sanno che ormai il 90 per cento delle foto che guardiamo sui giornali è stilizzato digitalmente e che ogni vera star impiega un addetto al ritocco delle proprie foto? Solo nel numero di marzo 2008 di Vogue Usa il mago del retouching, Pascal Dangin, ha manipolato 144 immagini: 107 pubblicità, 36 foto di moda e la cover. Di certo l'industria dei media ha una parte di responsabilità nel propagandare immagini irraggiungibili e irreali di perfezione ma per Orbach il lavoro inizia in famiglia. Sono le mamme, forse più che il peer pressure, le amichette, a trasmettere per prime alle figlie l'ansia rispetto al corpo. «Non commettete l'errore di criticare il vostro aspetto davanti ai bambini», dice. Quando le racconto che ho una figlia che si lamenta della pancetta a 12 anni immediatamente suggerisce: «Le ripeta semplicemente questo: “mi piacerebbe che potessi vederti come ti vedo io. Bellissima”. Perché tra qualche anno sarà già troppo tardi»

L' ossesione della cyberforma.


L'ossessione della cyberforma
di Mara Accentura
Donne manipolate, digitalizzate, alienate. La psicanalista Susie Orbach analizza l'istancabile e pericolosa ricerca della perfezione


Stiamo vivendo un'emergenza sanitaria. Riguarda il nostro corpo, che nessuno ama così com'è e dove concentriamo ansia, odio, isteria, per non averlo troppo magro, troppo sexy, troppo giovane. Ma quanti di noi ne sono davvero consapevoli? Susie Orbach è la psicoterapeuta inglese che nel 1978 scrisse Fifi, come viene affettuosamente chiamato, Fat is a Feminist Issue in cui sosteneva che le diete distorcono la nostra relazione col cibo e alla lunga contribuiscono a farci ingrassare. Negli anni Novanta diventò famosissima per avere in cura - proprio per un disordine alimentare - la principessa Diana. Oggi torna a riflettere sul tema del corpo con un libro di denuncia Bodies, Profile Books. Molte cose sono cambiate da allora e se vogliamo peggiorate. Oggi il nostro rapporto col corpo è più alienato che mai e se le statistiche in crescita di interventi di chirurgia estetica, sebbene rallentate dalla crisi, esaltano la feticizzazione della giovinezza, quelle di di obesità e anoressia mettono in luce la patologizzazione dell'appetito. «Mangiare è diventato un problema per tantissime persone», dice Orbach, intervistata in esclusiva per D. «Il cibo è visto non con piacere ma con sospetto. E questo inizia precocemente. Molte ragazzine crescono con l'idea che stare a dieta è normale. Ma più stanno a dieta più sviluppano l'abitudine al bingeing». In pratica passano dal controllare minuziosamente il numero di calorie giornaliero allo strafogamento. «Pochi si rendono conto che l'industria dietetica si regge su una percentuale di recidività del 95 per cento. Altrimenti si starebbe a dieta una volta sola nella vita», continua Orbach che una volta ha persino tentato di portare in tribunale la WeightWatchers.

In pratica continuamo a comprare prodotti che hanno una percentuale altissima di fallimento. Non demordiamo. Nemmeno quando si tratta di modificare il corpo con la chirurgia, che è diventato una sorta di diritto costituzionale pari alla salute (in Argentina, tanto per dirne una, rientra nelle polizze assicurative). Se qualcuno mette in dubbio i picchi di follia della manipolazione rispondiamo: non è repressione ma simbolo di empowerment. Pochi di noi hanno l'impressione di essere vittime manovrate dall'industria dei media e della bellezza, lo consideriamo un insulto all'intelligenza. Ma - Michael Jackson riposi in pace - è davvero così? «Il risultato è che percepiamo il corpo come un campo di battaglia, un'entità instabile», spiega Orbach, «non più qualcosa che si sviluppa naturalmente a seconda del proprio Dna ma una costruzione culturale, un progetto su cui perseverare tutta la vita». E se non in questa almeno su Second Life, dove possiamo cambiare cyberidentità smanettando come artisti su una tastiera.

L'aspetto più inquietante però è che alla democratizzazione degli interventi sul corpo è corrisposto un impoverimento dei modelli. In altre parole miriamo tutti a delle immagini stereotipate, omogeneizzate che cancellano le differenze etniche, anagrafiche, di provenienza sociale.

Donne androgine, uomini metrosexual. La varietà dei visi e dei corpi è stigmatizzata. «Sophia Loren significava italiana», dice Orbach. «Lo capivamo tutti. Oggi le misurerebbero il BMI, l'indice di massa corporea, e le prescriverebbero una dieta per l'obesità». O magari una scorta di Alli, l'ultima pillola per dimagrire, che va a ruba nelle farmacie inglesi pur avendo imbarazzanti - improvvise diarree - effetti collaterali. Così le donne iraniane si rifanno il naso (solo nella città di Teheran ci sono 3000 chirurghi plastici, molti dei quali lavorano al ritmo di 5 rinoplastiche al giorno), le cinesi le palpebre, le occidentali gli zigomi, le labbra e quant'altro. «Per effetto della globalizzazione ragazzi delle isole Fiji, Nigeria, Korea desiderano gli stessi fisici, magri, emaciati, che non c'entrano nulla con quello originale. L'odio verso il proprio corpo è uno dei prodotti occidentali esportati con più successo nei Paesi in via di sviluppo». Nessun appello come quello della direttrice di Vogue UK Alexandra Shulman agli stilisti per taglie più comode (“i vostri abiti sono minuscoli. Siamo costrette a usare modelle troppo magre e poi a ritoccarle digitalmente per farle sembrare più grasse”, ha denunciato sul Times), nessuna cover di Beth Ditto, la cantante oversize ritratta da in modo superglamorous dal fashion magazine Love, sembra poter arrestare l'ondata. «Certo, Ditto contribuisce ad allargare la nostra percezione del bello ma non lo considero un vero balzo in avanti», dice Orbach.

Vestita e stilizzata, Ditto sembra persino voluttuosamente sexy, l'ultimo oggetto del desiderio maschile e femminile. Ma quante ore di Photoshop ci sono volute per rendere quelle immagini assolutamente impeccabili? E quanti sanno che ormai il 90 per cento delle foto che guardiamo sui giornali è stilizzato digitalmente e che ogni vera star impiega un addetto al ritocco delle proprie foto? Solo nel numero di marzo 2008 di Vogue Usa il mago del retouching, Pascal Dangin, ha manipolato 144 immagini: 107 pubblicità, 36 foto di moda e la cover. Di certo l'industria dei media ha una parte di responsabilità nel propagandare immagini irraggiungibili e irreali di perfezione ma per Orbach il lavoro inizia in famiglia. Sono le mamme, forse più che il peer pressure, le amichette, a trasmettere per prime alle figlie l'ansia rispetto al corpo. «Non commettete l'errore di criticare il vostro aspetto davanti ai bambini», dice. Quando le racconto che ho una figlia che si lamenta della pancetta a 12 anni immediatamente suggerisce: «Le ripeta semplicemente questo: “mi piacerebbe che potessi vederti come ti vedo io. Bellissima”. Perché tra qualche anno sarà già troppo tardi»

Sirena o Ballena?

Quest'estate vuoi essere una sirena o una balena?

E che ne dite di questa ikea?

Basta smettiamo di voler assomigliare a queste modelle facendo diete estreme!

ecco perchè agli uomini piace cosi' tanto la birra e a noi non piace questa pubblicità!

E di questa pubblicità che ne dite,è offensiva.la donna bambola davvero!

E anche questa birra non ci piace e la pubblicità ci offende davvero

Non voglio piu' vedere spot con modelle anoressiche

Le modelle prima e dopo fotoshop,la magia del ritocco,quando si vedrà la donna vera!

cosi' come sono e con il make up

e anche i nostri miti senza make up sono persone normali!

La donna vera e la modella!

Spot estremi e offensivi per tutte le donne il profumo intimo Vulva

Rasa il pratino - Wilkinson Quattro for Bikini(35,720p_HQ).mp4

martedì 18 maggio 2010

L'acqua rocchetta non ci piace e questa pubblicità ci offende!

product-645589.jpgPhoto©: Acqua Rocchetta
Mi chiamo Federica, ma potrei chiamarmi Elisa, Antonella, Silvia, Gertrude, o Genoveffa.
Potrei chiamarmi con un milione di nomi diversi ed essere la maggior parte delle persone che, come me, interagiscono con l’odierna società.
Sono una ragazza, una donna, o se preferite una persona di 34 anni, che si alza
la mattina e va a lavorare e vive “normalmente” dove credo vivano tutti…
Forse non tutti.
Qualche sera fa, mentre stavo cucinando, nella cucina normale della mia casa normale, guardavo il mio televisore, forse meno normale degli altri (ma questa e’ un’altra storia) e in questo televisore, come ormai succede da anni, guardavo gli spot televisivi intervallati da vari programmi più o meno interessanti.
Mentre la cipolla moriva beatamente nell’olio contenta di avere assolto al suo destino, mi e’ caduta l’attenzione sull’ultimo spot dell’acqua Rocchetta, (visibile a questo link) si, proprio quella che fa fare molta plin plin….
Ora, va bene che si usi come al solito una gran bella ragazza per reclamizzare una bottiglia di acqua. Ormai la bellezza estetica si usa persino per far vendere aria
fritta, giusto la paperetta del wc sembra immune dalle mode del momento!!!
x_rocchettabrioblu_2000_n0750v.jpgPhoto©: Acqua2O
Va bene che i pubblicitari si servano di un trucchetto vecchio quanto il mondo
per attirare l’attenzione del pubblico, mettendo una alta un metro e novanta, bionda, famosa ed effettivamente fuori dallo standard che vediamo ogni giorno, per arricchire le loro tasche e quelle del cliente, ma usare una controparte a paragone che ricalca lo standard normale e quotidiano della donna mediterranea, mi sembra un insulto vile e del tutto meschino.
Cerchero’ di farvi capire il problema. Il problema e’ che io, donna decisamente non bella, decisamente non adeguata a come i canoni estetici di oggi mi vorrebbero,veda alla televisione la sera, la sopracitata miss, che,uscendo in baby doll da un camerino, si senta
pulita dentro e bella fuori”.
Ok lo è… e le sue “amichette” pari suo, non mancano certo di rimarcarlo con applausi e tripudi alla signorina della “plin plin” miracolosa.Quello che credo vergognoso, è che nel camerino attiguo, si denigri una normalissima ragazza mediterranea, sempre in baby doll, certamente non magra, certamente almeno cinquanta centimetri più bassa, certamente sorridente suo malgrado essendo consapevole di non avere le forme perfette e decisamente magre della sua vicina VIP.
Depurati!!!” le intimano le Grazie presenti e questa, decisamente meno
sorridente, si ritira nel suo “loculo” lasciando la scena a quella che dovrebbe essere la perfezione e la meta di tutto il genere umano!!!
x_rocchettabrioblu_1997_v1_n1500p.jpgPhoto©: Acqua2O
Bravi, bravissimi, un applauso alla mente che ha partorito un prodotto del genere. Continuiamo a inculcare nella mente di chi guarda la televisione (bambine comprese!) l’idea che, bevendo acqua si diventa miss Italia, che bevendo acqua si cambiano i propri connotati e si smette di essere brutte.
Come appunto quella ragazzona spudorata in lingerie, che si crede normale e magari va tranquillamente a fare compere con le amiche credendo di valere qualcosa oltre le sue coscione decisamente fuori taglia 36.
Poi veniamo ancora a parlare di anoressia e bulimia, urliamo in cortei e manifestazioni che e’ la bellezza interiore quello che conta, che la meta non è l’essere magre come chiodi. Che non è questo il modo per essere osannate da tutti.
Un ringraziamento dunque a chi crede con questo ennesimo insulto all’essere umano, di avere a che fare con un branco di decerebrati superficiali che sanno misurare l’importanza delle persone con il mano il centimetro e nel cervello la segatura.

Una sana bellezza femminile...

anche questa pubblicità ci offende!

Spot Rocchetta - Cristiana Chiabotto e le Suore

Spot Rocchetta con Cristina Chiabotto : il confronto

Su questa pubblicità che ci ha sconvolto,vi riporto il bell'articolo di Marina Terragni


La ragazza è tondetta, in slip e reggiseno, e si guarda il sedere allo specchio, sovrapponendovi l’immagine di due glutei più piccoli e più sodi, con culotte di pizzo come si deve. Claim: “Pretendi di più”. E’ il manifesto pubblicitario della palestra GetFit. Sul corpo delle donne si è visto ben di peggio. Ma stavolta scatta qualcosa.
Qualcuno disegna un fumetto: “Voglio fare la velina”, e poi, sul seno della ragazza: “Grazie Presidente”. Un’altra mano scrive: “Sì, pretendiamo di più. Diriprenderci il nostro corpo: femminile, maschile, ma non commerciale. Che la “creatività” dei pubblicitari abbandoni queste banalità. Che nessuno si lamenti se imbratto con il pennarello qualcosa che imbratta la nostra dignità”. Seguono spontanee decine di firme: Tiziana, Beatrice, Claudia, Elena, Alice; ma anche, novità assoluta, Marco, Davide, Matteo.
Parte anche un dibattito online: complesse analisi del messaggio pubblicitario, ma anche proteste schiette: “Fa schifo. Ma proprio schifo, dico”. “Il vero messaggio è questo: tu grassa non meriti niente di più che una pubblicità demenziale”. “Se le mettevano un burqa in testa e nello specchio si vedeva la faccia pigliavano due piccioni con una fava”. “E’ troppo offensivo, perché la ragazza è pietosa, mostra una scena che non auguro a nessuno di vivere ma tante vivono”.
Di colpo, la misura è colma. Ragazze e ragazzi che passano di lì, e dicono con semplicità che il corpo è loro. Sembra nulla, ma si tratta di biopolitica. In Italia le ultime proteste contro l’abuso dell’immagine del corpo femminile risalgono a metà anni Settanta. Ma lì era contro la pornografia. Qui è diverso. Qui non è in questione la nudità della ragazza, ma la dittatura della forma fisica. E’ la ribellione contro l’immagine al centro dell’identità. Contro gli scheletri che si continuano a vedere in passerella. E’ un sussulto di dignità contro le indegnità e i mercimoni che hanno infangato la politica nel nostro paese. E accanto alle ragazze, per la prima volta, 
ci sono anche i ragazzi: ci vorrebbe la penna di Michel Foucault, per raccontare questa storia.
Qui c’è una generazione che smette di essere acquiescente e fa sentire la sua voce. Ricominciando dal corpo. E spesso quello che conta ricomincia di lì. Roba da far tremare i polsi a tutti i nostri vecchioni, e alle loro compiacenti Susanne. 
(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 17 ottobre 2009)